DISTURBO BIPOLARE E DISTURBI CORRELATI
Il disturbo bipolare (DB), come pochi altri disturbi psichiatrici, ha subito negli anni una serie di trasformazioni che hanno, di volta in volta, allargato o ristretto i suoi confini e modificato radicalmente la sua concettualizzazione, passando da una visione “semplice” ad una visione “complessa” che va sempre più affermandosi negli anni. La prima di queste due ipotesi riteneva che esso fosse una condizione rara, di facile diagnosi, con una prognosi relativamente favorevole ed un trattamento farmacologico definito ed efficace. La seconda e più recente considera invece il DB una condizione relativamente frequente, caratterizzata da una presentazione clinica mutevole che determina problemi di diagnosi differenziale con altri disturbi dell’umore (ad es. depressione unipolare, schizofrenia, disturbi di personalità). tra i clinici vi è una crescente consapevolezza che la definizione di DB comprende una varietà di condizioni cliniche la cui prevalenza nella popolazione è stimata al 6%, in cui le forme miste e psicotiche sono risultate molto più frequenti di quanto si ritenesse in passato e la cui presentazione è spesso differente, a seconda che l’esordio avvenga in età prepuberare/adolescenziale, nell’età adulta o nell’anziano.
Le frequenti sovrapposizioni tra quadri clinici nosograficamente distinti, hanno portato a considerare le diverse sfumature del disturbo come un’espressione “di spettro” che difficilmente si adatta alle classificazioni categoriali proposte dagli attuali sistemi nosografici e che postula l’esistenza di un continuum fra diverse espressioni cliniche. Lo “spettro bipolare” propriamente detto comprende, oltre alle forme tipiche caratterizzate dalla comparsa di episodi maniacali o misti ed episodi depressivi maggiori (Disturbo bipolare tipo I), anche le varietà sotto-soglia (forme ciclotimiche ed ipertimiche) e quelle pseudo-unipolari. Tra queste ultime, il Disturbo bipolare tipo II rimane frequentemente non diagnosticato nella pratica clinica a causa della difficile identificazione retrospettiva degli episodi ipomaniacali, pur essendo la variante clinica più frequente dello spettro bipolare, con una prevalenza 5-10 volte maggiore del Disturbo bipolare tipo I.
Vediamo comunque come il DSM 5 (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) classifica e descrive le diverse tipologie di bipolarismo:
Il disturbo bipolare (DB), come pochi altri disturbi psichiatrici, ha subito negli anni una serie di trasformazioni che hanno, di volta in volta, allargato o ristretto i suoi confini e modificato radicalmente la sua concettualizzazione, passando da una visione “semplice” ad una visione “complessa” che va sempre più affermandosi negli anni. La prima di queste due ipotesi riteneva che esso fosse una condizione rara, di facile diagnosi, con una prognosi relativamente favorevole ed un trattamento farmacologico definito ed efficace. La seconda e più recente considera invece il DB una condizione relativamente frequente, caratterizzata da una presentazione clinica mutevole che determina problemi di diagnosi differenziale con altri disturbi dell’umore (ad es. depressione unipolare, schizofrenia, disturbi di personalità). tra i clinici vi è una crescente consapevolezza che la definizione di DB comprende una varietà di condizioni cliniche la cui prevalenza nella popolazione è stimata al 6%, in cui le forme miste e psicotiche sono risultate molto più frequenti di quanto si ritenesse in passato e la cui presentazione è spesso differente, a seconda che l’esordio avvenga in età prepuberare/adolescenziale, nell’età adulta o nell’anziano.
Le frequenti sovrapposizioni tra quadri clinici nosograficamente distinti, hanno portato a considerare le diverse sfumature del disturbo come un’espressione “di spettro” che difficilmente si adatta alle classificazioni categoriali proposte dagli attuali sistemi nosografici e che postula l’esistenza di un continuum fra diverse espressioni cliniche. Lo “spettro bipolare” propriamente detto comprende, oltre alle forme tipiche caratterizzate dalla comparsa di episodi maniacali o misti ed episodi depressivi maggiori (Disturbo bipolare tipo I), anche le varietà sotto-soglia (forme ciclotimiche ed ipertimiche) e quelle pseudo-unipolari. Tra queste ultime, il Disturbo bipolare tipo II rimane frequentemente non diagnosticato nella pratica clinica a causa della difficile identificazione retrospettiva degli episodi ipomaniacali, pur essendo la variante clinica più frequente dello spettro bipolare, con una prevalenza 5-10 volte maggiore del Disturbo bipolare tipo I.
Vediamo comunque come il DSM 5 (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) classifica e descrive le diverse tipologie di bipolarismo: